Sergio Barbieri
1° classificato
Il sole era tornato giovane
e tutti noi – quelli con le camicie di vento – spingevamo oltre lo spazio
le nostre biciclette di gioventù
e le ragazze
erano in un campo di grano maturo
nel gran sole del desiderio.
Noi ancora noi
parlavamo con le nostre anime
per attendere – ancora assieme – la notte ed il suo
inizio di stelle.
E tutto era nostro – solo nostro –
di quelli
che possiedono
il Tempo.
Fausto Pelli
2° classificato
La grande illusione
…
Non sapevo di aprile.
Siamo usciti dall’inverno
per abitare una chiesa
ancora incompiuta, malgrado
il fruscio, qua e là,
delle rondini.
Ascolta, la tua nudità
di allora, quel modo di passare,
sono il mare contro lo scoglio,
perché tutto muore e si compie,
e tu non sai, a forza di onde,
di cosa è padrone il mare.
A noi in cammino
talvolta non basta il mare,
la pupilla si dilata – mi hanno detto che voli – e restano le orme.
Simonetta Cariolato
3a classificata
senza titolo
Affonda il viso nelle mani
in queste mani intrise di coerenza e di dolore.
È questa la misura irragionevole?
Queste dita che defluiscono lungo le anche
a trattenere il corpo tremante
con queste nocche che stridono
contro il silenzio assordante
di queste quattro mura che circondano
il pianto consolatorio
pianto che danza intorno al fuoco
come falena fino ad impazzire
e a divenire fiamma.
Lingua di fuoco che asciuga le lacrime
inaridite dalla vacuità dell’anima,
che insegue leggi, comportamenti da vestire
alla luce del sole.
Ma dentro le pareti, quando il dovere inciampa,
danza la signora del tramonto
e canta la canzone che misura il vento,
lo spirito senza corpo, intriso ancora di normalità e di apparenza.
Danza la marionetta nel teatrino del padrone,
il soldatino al cambio della guardia.
Suona ancora la dolce melodia della vita apatica e serena
perché non vale niente essere fuoco nell’onda che avanza.
Giuliana Gilli
2° classificato
Sera di corallo
Da orizzonti indefiniti
mi giunge questa sera di corallo
a tingere d’impeto e d’ibisco
sbiaditi fondali di silenzio.
Risveglia la tua voce
nostalgia di stele impallidite,
trucioli di sogni sfatti,
nell’incedere lento
di passi appannati di brina.
Freme la luna prigioniera
nei recinti di un cielo assonnato
e affonda lame di velluto
nella fragile corteccia
del mio corpo pulsante di gelo!
Mi lascio andare al tepore
che schiude il bucaneve
e stupisce l’erba,
cullando lo sfarzo di un vento
che sospinge attimi
ammainati come vele.
Marco Galvagni
5° classificato
Un volo di rondine
Il meriggio
consolerà il mattino
per aver trascorso
frammenti del nuovo giorno.
Se qualcuno ricorderà l’alba
sarà tempo di quiete sfumato,
ricordo lambito da echi sfiniti,
candido pallore che quasi
richiama il colore del crepuscolo.
Dimenticato è ormai il mattino
in una fitta pioggia di speranza
ch’ha permeato il meriggio
d’un’apparenza vespertina.
Il giorno regalerà
alla notte rose di seta
e verrà il tempo dei vizi,
il tempo dei rimorsi
e sarà la foglia
d’una pianta appassita
ad ondeggiare ed insegnare
che anche nel vuoto
di piombo del silenzio
l’inchiostro sinuoso si agita
e traccia graffiti d’amore.
Udendo gli schiamazzi
di quattro ubriachi che cantano,
dolcemente m’assopirò sotto
un’arcata di cielo lattiginoso.
Porrò a tacere le membra assonnate
in una notte dove la luce delle stelle
illumina un uragano di passioni.
All’alba sarà un volo di rondine
ad illanguidire d’amore gli alberi,
aprire il cuore a vagiti di speranza
e concedermi l’attesa della nuova stagione.
Alessandra Crabbia
6a classificata
Mio padre
Il mio vecchio beveva liquore di prugna,
disegnava cavalli e maiali impazziti
nelle sere ventose d’inverno.
E mi parlava di Cyrano e Don Chisciotte,
e mangiava a petto nudo bestemmiando
tra cani e gatti adoranti.
Era un bambino matto
che girava intorno alla vita
con le tasche piene di cambiali scadute,
e un amore morto fermo fermo all’altezza del cuore.
Il mio vecchio era l’unico
a farmi piangere e ridere insieme.
Portava giacche lise e rovesciate
e scarpe sinuose da ballerino di tango.
Giocava a far l’adulto,
ma era la vita ad averlo giocato
e scordato come un inutile guanto spaiato.
Volevo bene al mio vecchio,
anche se a volte lo odiavo.
Eppure,
la sua pazzia solare e maledetta
è sulla punta delle mie dita,
e il suo cuore storto
splende nel mio petto
come una stella nella notte.
Adriana Scarpa
7a classificata
Gli inquilini del mio corpo
Sono abitata da sobbalzi:
una stagione di piogge mi turbina dentro
così le dita e le punte dei capelli
mi gocciolano rugiade. Sono abitata
da legni con solchi ad anello,
con tenerissimi nidi e i rami
si muovono in me con fiati musicali.
Mi faccio curva di vento (io
terra di smeraldi) e lentamente oscillo
sul ventaglio dei glicini.
È collina di betulle bianche
la mia mano, sospira tremando.
In me, dentro la mia carne,
sigilli ed impronte pulsano.
Questo mio universo di radici
è una terra incendiaria,
una corolla di piogge e di albe.
Egidio Belotti
8° classificato
Occhi
Le dita affusolate a sfiorare appena
i tuoi occhi sospesi sul pianoforte
muto, occhi quasi senza pause
sul delta dei pensieri che risorge
come pianura smossa lungo il granito
spento dei muri screpolati,
occhi rovesciati in un fiore,
inumiditi da bisbigli di paura,
costretti a tracciare immagini
sfocate – a volte in incognito felici – semi sotto la terra incolta,
occhi che non ti somigliano
così smarriti nel verde opaco
delle acque ferme, sommessi
per il dubbio ostinato che ritorna
e soffia senza rimedio,
silenziosi sul ritmo incalzante
della sofferenza inaspettata, offesi
per l’improvviso avvento del buio:
ricordi quella sera baciati
dalla penombra attonita
sul bisbigliare misurato
del mio dolore quasi inquieto?
Grazie.
Loriana Capecchi
9a classificata
Per mano
Ti avrei portato un giorno per la mano
alla terra che amasti quale donna.
Nell’altra avrei posato fieni e grano.
Non donava
un padre schivo baci
né parole
ma lunghi sguardi teneri
avvolgenti
intorno alla sua figlia piccolina
selvaggia
lei lucertola di sole
schiava di solitudini stregate
da cieli chiari curvi sui trifogli.
Tu padre
un ritorno odoroso dai prati
in groppa alle tue spalle ero padrona
di tramonti di fuoco e la distesa
di fiumi d’erba spinta fino ai colli.
Tu fosti padre il solo ad inseguire
il cammino dei sogni nei miei occhi
quando l’infanzia chiede giochi al vento
e il tempo appare fermo ad una conta.
Allora il sasso
l’albero
ed il grano
insieme a noi divennero fanciulli.
Seppure adesso vivi cieli chiari
sotto la pelle porti una bambina
che sulla bicicletta insieme al padre
disciolto il fiocco rosa dai capelli
volava un corpo solo offerto al vento.
Andrea Violi
10° classificato
Pessimismo della ragione
Sarmenti
siamo,
a volte
consapevoli.
Cadiamo
nelle cascate
e verso il centro
della terra viva
gagliarda
e soffocata.
Intenti
come tuoni
a rombare
superiamo
le fessure
tra gli archi
a sesto acuto.
Rosicchiamo
larghe mattonelle
e con ampi gesti
recitiamo,
tutt’altro
che invano.